martedì 27 agosto 2024

Mi sono finta una DJ di successo e ci hanno creduto tutti

Due anni fa mi resi conto di non poterne più della nightlife. Dopo aver passato l’inizio della mia età adulta a fare la promoter, non ci volle molto prima che cominciassi a disprezzare quel mondo in cui ogni cosa è superficiale, in cui gli uomini sono sempre al comando, le donne sono accettate solo se seminude sui manifesti e le droghe sono il carburante che mantiene il motore in movimento. Oltre a ciò, mi irritavano le orde di DJ idolatrati dai promoter e dai proprietari dei locali, con la loro posa arrogante assunta ad hoc per convincere il pubblico che sono veri musicisti, veri artisti. Il loro atteggiamento è uno schiaffo in faccia alle radici avanguardistiche della musica che suonano.

Ma ero ancora più disgustata dai DJ che contribuivano alla iper-commercializzazione di quella stessa musica. Quelli che erano pagati per lanciare torte nei club ( e addosso a persone in sedia a rotelle ) mentre suonavano set pre-registrati. Le folle sciamano verso questi set, disperatamente bisognose di intrattenimento. La musica conta solo nella misura in cui c’è un drop preciso e prevedibile che dia ai ragazzini in iperventilazione il via per gettare in aria le mani ed urlare all’unisono. È una questione di intrattenimento di massa, mentre il contenuto e la cultura sono diventati completamente irrilevanti.

Il fenomeno EDM - non il genere, ma piuttosto gli eventi di massa che da questo sono nati - è la triste espressione di una generazione per la quale la musica non è più cultura o arte, ma solo un altro bene di consumo. L’EDM non è altro che uno spettacolo: bum bum e fuochi d’artificio. È la versione da circo dell’electronic dance music.

Così mi sono fatta questa domanda: oggigiorno un DJ è solo un pupazzo che mette musica sul palco e spara coriandoli in faccia al proprio pubblico entusiasta? C’è ancora bisogno di capacità tecniche, ora che qualunque mixer da supermercato ha un pulsante sync? Non è che fare il DJ su grande scala riguardi più la spettacolarità della performance che la sostanza? Così insieme a Tobias, un mio amico inserito nel giro delle discoteche, decisi di fare un esperimento e diventare una DJ EDM. Spoiler: ha funzionato.


È tutto marketing

Tobias lavora nel settore da un bel po’ e conosce perfettamente la scena. Partecipa ad eventi giganti, riuscendo ad aggiudicarsi i DJ che attirano più gente possibile. Sa quali artisti funzionano meglio e quanto i giovani sono pronti a pagare per quale performance. Stilammo un elenco di quello che ci sarebbe servito per una veloce scalata al successo: contatti, un po' di tecnica e, soprattutto, una buona strategia di marketing. Stereotipi e kitsch, ahimé, funzionano.

Iniziai ad affinare la mia tecnica in una discoteca durante il giorno. A forza di seguire i DJ, avevo imparato ad affiancare una canzone ad un’altra. Grazie ad un corso intensivo con un amico, mi ci sono volute solo poche settimane per riuscire a mixare per bene le tracce facendo risultare il processo naturale.

Tobias ed io decidemmo che due donne avrebbero venduto meglio di una sola, come dimostravano le Nervo. Così scorsi tutte le mie amiche nella mia mente alla ricerca di quella adatta a questo tipo di truffa ( che a dir la verità avrebbe fruttato fama e alcol gratis ). Presto trovammo un’altra giovane donna. Tobias organizzò la nostra prima performance ad una delle sue feste, era maggio 2014. Ci rimaneva un mese di tempo per prepararci e passammo molto tempo nel nostro studio improvvsiato. Intanto ci facemmo fare foto professionali, un logo ed una pagina Facebook. Non volevamo usare la sensualità come strategia di marketing, come DJ Da Candy per esempio, ma una performance valida che fosse sì stereotipata e tamarra, ma credibile.


Metti pezzi che tutti conoscono

Il primo concerto fu un totale successo per il nostro progetto, che Tobias ed io avevamo cominciato a chiamare “progetto artistico” da un po’ di tempo. Prendemmo le tracce dai set di maggiore successo dello scorso Tomorrowland, scegliendo le hit più facili ed ovvie. Il pubblico mostrò di adorarle, semplicemente perché le conosceva già. Perché erano prevedibili. Ci aiutò anche il fatto che gli altri DJ locali scatenarono un polverone. Ci fu una polemica gigante, e all’improvviso la scena si interessò a noi. Eravamo due novelline venute dal nulla, suonavamo EDM e, con il disappunto dei vecchi DJ, il pubblico ci adorava. Quelli che ne sapevano si domandarono giustamente il perché del nostro successo e misero in questione la nostra autenticità. Nel luglio 2014 facemmo tre concerti, compreso il festival Touch the Air. Ogni volta presentammo al pubblico il nostro set copiato dal Tomorrowland ed ogni volta andò in visibilio.

La squadra giunse ad una conclusione: il piano stava chiaramente funzionando. Per avere davvero successo avremmo dovuto investire molto più tempo e l’unico modo per farlo era piazzare il progetto al numero uno delle nostre priorità. La mia socia stava studiando legge, era molto presa dal suo ragazzo e non poté assicurare l’impegno necessario. Così decidemmo di continuare da soli.

Tobias continuò a vendere in maniera eccellente il nostro “progetto artistico”. Dopo tre mesi dal mio primo ingaggio ero già prenotata per vari festival, incluso lo Zurich Openair tra Netsky e Flume e come DJ spalla per Crookers. Con queste referenze nel mio curriculum, i promoter cominciarono a chiamarmi non solo come supporto per grandi nomi come Sidney Samson o Ummet Ozcan, ma anche come headliner alle loro feste EDM. Riuscivo a malapena a crederci quando vedevo il mio nome sui manifesti a meno di sei mesi dal mio debutto dietro una consolle.


Vivi lo stereotipo

Accolsi il nuovo anno ubriaca, sparando gioiosamente pezzi non miei all’indirizzo di raver esagitati insieme al gestore del Klangkarussell, dopo il set di Robin Schulz. Mi trovavo lì grazie al rifiuto di un’altra DJ: “La paga è buona, tremila franchi [ 2783€ ]”, mi disse sorridendo. La location era “Bums Alp”, un bordello in mezzo al nulla nella periferia di Zurigo. Non appena mi trovai nel backstage ad ascoltare le conversazioni drogate dell’headliner, mi resi conto che Schulz & co. hanno visto di molto peggio. Più hai successo, più la gente ti odia e ti invidia.

Nel frattempo c’erano già stati due articoli su di me sul giornale, e una parte della scena cominciava ad accettarmi. Non mettevano in discussione le mie doti da DJ, visto che il pubblico sembrava gradire quello che facevo, cioè mettere un pezzo EDM dopo l’altro e agitare le braccia in aria. Le mie quotazioni salirono di mese in mese, e Tobias poté presto richiedere una tariffa di 1200 franchi a concerto, che durava circa una o due ore. Nella primavera del 2015, suonavo otto o dieci volte al mese pur studiando dal lunedì al venerdì. Divenne una routine e cominciai a dimenticarmi del perché avevo iniziato questo “progetto artistico”.


Rinuncia a tutto il resto

I miei studi rigidamente tecnici cominciarono a crearmi dei problemi e i concerti nel weekend mi misero sotto pressione. Collassai due volte sul palco per la stanchezza. E no: non mi sono mai drogata. Troppe persone attorno a me mi fissavano, notte dopo notte, con i loro sguardi imbambolati, o cercavano di convincermi a seguirli in bagno per farci di coca. No, ero sopraffatta dalla mia crescente passione per la musica.

Cominciai a pensare sempre di più alla musica che stavo suonando ed alla musica che avrei veramente voluto suonare, e le mie aspettative verso me stessa stavano salendo. Cominciai a mettere la techno che ascoltavo da sola. Solo alle feste private, chiaramente, o la mattina presto su palchi più piccoli, mai sui palchi grandi, visto che questo sound non si sposava al mio prodotto-DJ e avrebbe messo in discussione la mia immagine.


Assumi un ghost producer

Fu questa vera passione a tenermi dietro alla consolle. Le mie abilità tecniche migliorarono e cominciai a capire la dipendenza che dà la musica. Avevo smesso da tempo di suonare set pre-registrati. Passavo ogni momento del mio tempo libero alla ricerca di nuove tracce o a studiare per il corso di laurea in musica a distanza a cui mi ero iscritta. Tobias ed io sapevamo che avremmo potuto arrivare ancora più in alto producendo nostri pezzi.

Al pubblico della EDM commerciale non frega un cazzo del fatto che tu suoni le tue tracce. Anzi, preferiscono conoscere le canzoni, cantare e, soprattutto, sapere quando arriverà il drop. Ciononostante, per diventare un vero DJ di successo e farti un nome all’estero, devi avere qualche pezzo tuo. Visto che ero ancora una principiante nel mondo della produzione, nonostante gli studi, fummo costretti ad assumere un ghost producer. Un vero musicista.

Quando vedo altri DJ passare per loro il lavoro di veri musicisti, m’incazzo. Quindi i miei producer meritano di essere menzionati: ho grande rispetto per Ben Mühlethaler e Avesta, che crearono la mia prima traccia. Sono incredibilmente creativi e professionali, lavorano benissimo ed hanno genuina passione per la musica. Il successo non è la loro priorità. Quello che interessa loro è vivere di musica e poter pagare l’affitto.

Lasciammo passare un po’ di tempo prima di pubblicare la canzone finita. Volevamo aspettare il momento giusto. Un giorno, ricevetti un’email dalla casa discografica Hitmill, che sta dietro a più o meno ogni jingle e ogni pezzo pop. Volevano conoscermi per produrre una traccia assieme. Hitmill mi procurò un producer con cui mi trovai benissimo e con cui lavorai ad un secondo pezzo. Ma prima che il lavoro fosse finito, il producer lasciò la compagnia. Me ne procurarono un altro, con cui completai la traccia.

Nell’estate 2015 suonai a festival come il Sonnentanz, l’Holi Festival of Colours e lo Zurich Openair. All’afterparty della Street Parade suonai sul palco principale dopo Bassjackers e Tujamo. All’improvviso fui contattata da booking agent stranieri. Dubito che conoscessero le mie capacità o quanto fossi brava, ma questo non interessava loro. Sapevano che avrebbe funzionato. E per farlo “funzionare” erano disposti a pagare un sostanzioso cachet che comprendesse le spese di viaggio e di alloggio.


Vivi sano!

E poi arrivò l’autunno, insieme al mio ultimo anno di università. Nel frattempo, avevo iniziato a lavorare come giornalista. Diventava sempre più difficile gestirsi le cose e cominciai ad avere problemi di salute. Mi ammalavo in continuazione, ero sempre debole, irritabile e stanca. Sapevo che non avrei potuto reggere il mio progetto ancora per molto - quel progetto era diventato praticamente mio figlio. Tobias ed io avevamo già idea di quale sarebbe stato il passo successivo: dopo la mia laurea mi sarei dedicata alla carriera da DJ a tempo pieno e avrei mollato tutto il resto. Lavoravamo con agenzie booking di tutto rispetto, con bravissimi producer e un’ottima squadra creativa. Sapevamo che le cose potevano ancora funzionare. Se mi ci fossi dedicata, la squadra avrebbe retto.

Poi mi arrivò un’offerta di lavoro: un posto a tempo pieno nel campo del giornalismo - praticamente un sogno ad occhi aperti. A quel punto fui obbligata a prendere una decisione. Il nostro “progetto artistico” era nato per provare quanto è semplice scalare il successo come DJ, se ci metti un po’ di elementi scenografici ed alcune skill tecniche. E avevamo provato la nostra tesi. Certo, non eravamo arrivati al successo internazionale - magari sarebbe successo una volta uscite le nostre tracce. Un’agenzia di booking internazionale, in effetti, aveva già dimostrato interesse nei nostri confronti. L’idea di dovermi attenere a quegli standard mi faceva molta paura. Temevo che il mio personaggio-DJ si sarebbe impossessato di tutto il resto, sempre di più. Quindi decisi di mollare il colpo.

Ogni cosa che ho fatto è stata autentica. Ho dominato ogni cambio traccia senza il bottone sync ed ho vissuto appieno ogni mia performance. Allo stesso tempo, però, mi sentivo di tradire il mio pubblico e la scena, dato che rappresentavo una finzione. Ho grandissimo rispetto per i DJ che si considerano musicisti, non intrattenitori. Un DJ di quel genere è paragonabile ad un insegnante di musica, uno che avvicina la propria audience a nuove tracce, che ribaltano la concezione di chi lo sta ascoltando. A tracce che hanno molto più da offrire del semplice piacere di ascoltare melodie carine o un beat che ti prende bene. A tracce che potenzialmente ti fanno riflettere, sognare. La musica elettronica, in particolare, ha la spinta dell’innovazione che l’ha portata ad essere, già una volta, il canale con cui una generazione si è espressa. E ci sono tantissimi DJ in grado di trasmettere questo valore. Questi DJ meritano di prendere il posto che ora è occupato da fantocci che tirano torte o si circondano di accessori pirotecnici. Ai grossi festival, questi DJ non arrivano quasi mai. Il problema è anche di natura commerciale: l’industria musicale macina parecchi soldi attorno a questi rave costruiti a tavolino e attorno alla “poppificazione” dell’electro, un genere ridotto a prodotto radiofonico e reso appetibile per le masse.

Il mio progetto da DJ era stato concepito per sottostare alle regole di questo nuovo mondo artefatto della musica commerciale. Ciononostante, è stato tutto vero, in qualche modo. Però mi ha fatto capire qual è il limite tra realtà e finzione anche nell’industria del divertimento massificato. Per questo ho deciso di sacrificare la mia carriera da DJ in sacrificio per la vera scena elettronica e per i suoi musicisti. Volevo dare un segnale, dire che è il momento di fare posto per chi merita di stare in alto, in questo ambiente, per chi realmente muove qualcosa, per chi ha il potere di comunicare alla propria audience. È il momento di cambiare.

Fonte: Vice.com