«La cosa più bella è sentirmi risolta. Per me vuol dire prendere questa passione come tale, e portarla avanti con lo spirito di quando ero una ragazzina che sognava di diventare qualcuno. Metodo molto efficace: ti consente di goderti il pubblico e quello che fai nella vita».
«Per raccontare che la persona che voleva far ballare la gente non è sparita. Ho un’età in cui ne ho viste di tutti i colori, ci sono cose che mi toccano più di altre: aiutare a sollevare le persone, farle sognare. Voglio dire, a chi mi dà energie positive, che ci sono e tendo la mano. Che ascolto e non giudico, che comprendo i momenti di difficoltà e le paure. I social sono giudicanti. Nelle migliori accezioni: sei bella-brava-mito, ma sono anche arroganti».
Si è sentita giudicata? Era “la ragazza delle discoteche”.
«Giudicata dalla persona che mi stava più vicino in assoluto. Ho sentito un carico enorme, la cosa che mi faceva più male era dover essere all’altezza della situazione; non tanto per il pubblico ma per le persone che mi stavano vicino. Avrebbero dovuto sostenermi, invece erano manipolatrici, mi giudicavano e mi facevano sentire sempre inadeguata. Mi sono sentita così fino a poco tempo fa. Poi mi sono detta: ma de che? Ma perché?».
«Da sola non sarei stata in grado, la canzone era nata in inglese. Conobbi Mara Maionchi e il marito Alberto in occasione della prova del testo, in sala di registrazione. Arrivarono insieme, due personaggi incredibili. Pensai: voglio un papà e una mamma così. La Maionchi è stupenda. La sera della finale, a Sanremo, mamma e mia sorella vanno a vedere il festival nella sala della tv in hotel. C’erano Mara e Alberto, e mia madre continuava a dire a mia sorella: "Puoi dire a quella signora di stare zitta?”. E lei: “No, mamma”. Allora andò lei: “Scusi, posso sentire mia figlia Alexia?”. Mara la abbracciò, una festa».
«La vittoria di Sanremo mi ha portato a fare bilanci nella vita privata e, fortunatamente, ho deviato verso una strada più sana. Vivevo una relazione tossica, era una dipendenza che mi illudevo mi facesse sentire protetta. Ma non c’era la stima, il dolore mi trascinava in basso. Quando vinsi il festival, mio padre non c’era più: un dolore immenso. Lui cantava e mi ha incoraggiato. Anche mamma mi ha sempre fatto sentire il suo sostegno, è stata una pre-manager».
«Ai festival che giro all’estero, d’estate, c’è la stessa esaltazione. Era bello far parte della famiglia del Festivalbar: ti sentivi qualcuno. Da giovanissima, una figata pazzesca. Quando finiva la stagione pensavo: ora come faccio a ripartire?».
«Qualche secondo prima di salire sul palco, è istintiva. Dopo sono al settimo cielo».
Oggi la libertà è anche quella di esibire il corpo: si è sentita a suo agio?
( Ride ) «Mai. Solo a disagio, mi coprivo. A parte l’ombelico. Mi vestivo come una tredicenne, non avrei mai avuto il coraggio di fare come le giovani colleghe, sono contenta che abbiano tanta sicurezza. Non mi voglio soffermare su come sia cambiato il modo di esibirsi. Non ascolto tutto quello che esce durante la settimana, ma spesso faccio fatica a riconoscere l’artista: l’avevo preso per Tizio, Caio, Sempronio. C’è omologazione».
«Tanta fame di autodeterminazione. Ho studiato tanto - canto, pianoforte - questo mi ha permesso di sentirmi sicura. Ho fatto grandi sacrifici, con la paura che tutto poteva finire. Non avevo neanche un piano B. Se hai un piano B, hai le spalle coperte. Io sapevo di avere un letto da fachiro, fatto di chiodi, dovevo tentare il tutto per tutto. Ho cominciato a lavorare con le cover band a 19 anni, il venerdì, il sabato e la domenica. Partivamo col furgone, si smontava il palco, rientravi la domenica notte o il lunedì mattina. Ho fatto la vera gavetta con ragazzi di 30 anni. Una volta ho cantato in un locale per 45 serate. Promisi a me stessa: se l’anno prossimo sono ancora qui, mi sputo in questo specchio».
«Era un fan. Aveva saputo che sarei andata a provare dei vestiti nell’ufficio stile per Sanremo 2003, un’amica comune mi aveva chiesto: ti piacerebbe vestire Emporio Armani? Facciamo una cena, nasce un’intesa particolare, mi ricordava mio papà, aveva un modo di fare di altri tempi. Non era come i ragazzi che frequentavo. Sono rimasta affascinata. Non è successo niente, ci siamo rivisti a giugno, mi scrisse un messaggino: "Anche mio papà è morto, due anni fa. Vedi che abbiamo tante cose in comune?”. Evidentemente aveva letto la notizia. Abbiamo continuato a mandarci pensieri, poemi. Poi un giorno ci siamo scritti: perché non ci diciamo queste cose di persona?».
Si è sentita intimorita quando è entrata nella famiglia di re Giorgio?
«Loro sono friendly. Paradossalmente ero una vip anch’io quando ho fatto un passo indietro per dedicarmi alle figlie. Non mi hanno mai fatto sentire in difficoltà, ma mi sono ritrovata a fare i conti con una situazione nuova. Vivevo in una città che non è la mia, Milano, mi sentivo sola, mi aggrappavo a loro nella speranza di essere parte della famiglia. Oggi se c’è un evento importante, ci sono».
Con le sue figlie ( Maria Vittoria, nata nel 2007, e Margherita, nel 2011 ), è una mamma amica o severa?
«Io e Andrea abbiamo deciso dall’inizio che, nonostante i privilegi, avremmo vissuto una vita low profile. A mio marito piace l’understatement, quando cercavamo un appartamento, siamo in quattro, le case non andavano mai bene. Le voleva più piccole. Non sopporta l’idea di avere la corte, troppi aiuti e sovrastrutture. Questo ci ha agevolati nell’educazione delle ragazze. Mia figlia voleva mangiare il sushi per la sua festa, ha invitato gli amici e non ha voluto un aiuto. Ha organizzato tutto, le ho detto solo: metti a posto. Ero via, ha riordinato, poi mi ha spiegato: “Non tutti hanno qualcuno che aiuta in casa”. Mi ha fatto piacere. Da adolescente ho vissuto una vita dura, in una famiglia che faceva fatica. Non mi scordo le mie origini. Mio marito non sopporta di avere sovrastrutture, la nostra vita ce la organizziamo».
Che rapporto ha i con i social?
«Li guardo ma non me ne occupo personalmente. L’ho detto subito: non fatemi postare tutti i giorni una foto in cui bevo il caffè o faccio la frittata. I social non fanno parte della mia generazione».
Sanremo le è mancato in questi anni?
«Tornerei al festival. Anche se ogni volta che lo guardo, vedo negli occhi dei miei colleghi la stanchezza. Negli occhi di Noemi, bellissima, di un’eleganza incredibile, l’ho vista. Cercavo di mandarle la mia energia, tifavo. Sanremo mi manca a prescindere, se stai facendo altro, hai voglia di emozioni. E’ un meccanismo che ti travolge».
Fonte: Repubblica.it