mercoledì 9 luglio 2025

Gaetano Curreri: "I rapper? Sono nuovi cantautori. Convinsi Vasco a scrivere Rewind, da Dalla ho imparato a lavorare"

Il frontman degli Stadio si racconta: gli inizi con il Blasco, il rapporto con Lucio e quello con Guè, la salute e l'essere "un perfetto numero due". E, a fine luglio, parte col nuovo spettacolo 'Io sono le mie canzoni'


Che altro dire, oggi, su Gaetano Curreri? Classe 1952, emiliano romagnolo d’acciaio, è stato una presenza costante della musica italiana per quarant’anni, da quando verso il 1975 conobbe l’amico di sempre Vasco Rossi – con cui ha scritto Albachiara, all’inizio, fino a Rewind del 1998, e ancora tra le altre Vuoto a perdere per Noemi – fino alle collaborazioni con Lucio Dalla, Roberto Roversi, Luca Carboni. E poi gli Stadio, la sua creatura, nata come band dello stesso Dalla e che poi si è tolta soddisfazioni da sé, con hit come SorprendimiChi te l’ha detto, Grande figlio di puttana e la stessa Un giorno mi dirai, vincitrice di Sanremo 2016. E poi Acqua e saponedi recente campionata da Guè in Meravigliosa, a testimonianza di un’artista che continua a tornare. E che adesso si racconta con un nuovo spettacoloIo sono le mie canzoni, a Teramo il 25 luglio.

Perché questo titolo?
“Perché dopo anni ho capito che le mie canzoni sono più importanti di me. Non ho mai tenuto tanto all’immagine, i brani sono andati oltre. UnoChiedi chi erano i Beatles, ora ha dato il titolo a un libro di Pierluigi Bersani, uno dei politici che stimo di più. È un onore. Forse è il mio pezzo che preferisco: sentivo un podcast di Luca Bizzariun’altra persona che stimodire che, di musica così, non se ne scrive più”.

Lei è d’accordo?
“Sì. I discografici stanno facendo l’errore già commesso negli anni ottanta, cioè di dare più spazio all’immagine che alle canzoni stesse. Oggi, spesso, sono solo un sottofondo, cantato da qualcuno. Il rischio, com’è successo a tanta musica dell’epoca, è di dimenticarci tutto: brani e personaggio”.

Senta, per lei i Beatles chi sono stati?
“Tutto, a partire dal motivo per cui ho preso in mano una chitarra. Ma in generale, sono stati la Storia: non quella ‘della musica’, intendo in generale. Ciò che mi dispiace, oggi, è vedere che c’è poca voglia di andare a ritroso, e non ne faccio un discorso generazionale, ma di tutti. Io sono un maniaco dei documentari storici, ne vedo a decine. Se avessimo più senso della storia, per esempio, riconosceremmo nell’epoca di oggi i problemi che cento anni fa ci portarono alle guerre mondiali e alle dittature. Io ho paura”.

Diceva di Bersani: non le piacciono i politici di oggi?
“Mah, mi sembrano opinionisti, c’è addirittura chi rilegge la storia in chiave di propaganda. Negli anni settanta era diverso, non c’era questa pauraneanche tra la gentedi parlare di politica”.

Neanche tra i cantanti.
“Neanche tra i cantanti. Infatti sono orgoglioso di essere amico di Vasco Rossi, che nel tour appena concluso, ogni sera, ha piazzato sul palco la bandiera della pace di Don Ciotti. Perché è una persona sensibile, coraggiosa, onesta intellettualmente”.

Sembrate il diavolo e l’acqua santa, voi due.
“Eh, da giovani eravamo una coppia divertente. Lui era più da Mick Jagger, io da Paul McCartney, ci univa John Lennon, che è stato un dono del cielo. Vasco, comunque, era un mio tentatore, a livello artistico. Mi punzecchiava. Ma non ha mai avuto un dubbio sulla mia capacità di scritturadubbi che io avevo. Ci vedevamo nella mia stanzetta di Vignola, lui con la chitarra e le canzoni, io ci mettevo il pianoforte. Da lì, ci siamo trasferiti a Punto Radio, una delle prime radio libere, dove avevo insistito per far noleggiare, appunto, un piano”.

Ha scritto il pianoforte di Anima fragile, giusto?
“Sì, ed è il mio pianoforte preferito. Fu improvvisato, il tecnico del suono non ci disse che stava registrando, ma il risultato fu sorprendente. Certe cose nascono così. Ma si vedeva che Vasco fosse destinato a grandi cose. Poi, ecco, alla rivoluzione degli stadi non ci pensava, forse, nemmeno lui. Ma è un genio: da una pallina ricava una mongolfiera. Io venivo da studi classici, mi ha cambiato la vita”.

È vero che Dalla s’arrabbiò quando scoprì che lei aveva scritto l’introduzione di Albachiara?
“Mi mise alle strette: se non gli avessi presentato una canzone nel giro di poco tempo, mi avrebbe fatto fuori dalla band, riteneva impensabile che uno che avesse scritto quell’introduzione non avesse mai composto un brano vero e proprio”.

E lei?
“Scrissi Chi te l'ha detto?, Lucio la sentì e fu soddisfatto. Me la lasciò per gli Stadio. E m’insegnò una lezione fondamentale: che non potevo fermarmi alle introduzioni, scrivere era un percorso lungo e faticoso, ma che dovevo mettermi in marcia. Mi cambiò, davvero, mentalità”.

Che ha capito di lei in questi anni?
“Che sono un grande numero due. Poi sarà che vengo da un gruppo, gli Stadio, per cui sono sempre stato abituato a non far vincere l’ego”.

Però con i geni bisogna saperci fare.
“Sì. Roversi, Dalla, Vasco, lo stesso Luca Carboni… ne ho conosciuti tanti, non sempre caratteri semplici, ma mi ci so relazionare. Perché non li sovrasto, non dico loro come fare, ma li stimolo, li aiuto. Vasco ripete che sono un co-tutto, uno che può incastrarsi con tutto. Io mi sono arricchito tanto, lavorando con loro. E loro sicuramente avranno avuto qualcosa in cambio. Ricordo Rewind, con Vasco: aveva le parole, voleva metterle nella rivista dedicata al suo fan club, ma gliele strappai dal tavolo; erano troppo belle, lo convinsi a farci una canzone, di cui scrissi la musica. E quella canzone, oggi, è quasi un grande musical popolare”.

Come nasce una grande canzone?
“Per me è un miracolo: bisogna infilarsi nelle parole, nell’idea, nel concetto, e srotolare via tutto; come fosse un filo d’Arianna, una volta sbrogliata la matassa viene tutto fuori”.

Chi le piace dei nuovi?
Gazzelle e Achille Lauro. 
Purtroppo, di nuovo, si fa più caso alla cornice che alla sostanza, per cui mi trovo a sentire cose di Lauro che, magari, mi chiedo perché le abbia dovute fare, uno così bravo. È il segno dei tempi. Con la rete è diventato più difficile distinguersi. Ma sono forti entrambi”.

Con Guè com’è andata?
“Un grande. Non lo metto tra i ‘nuovi’ perché, semplicemente, non lo è, ma è una persona di una cultura e di un gusto sopraffino. Mi ha onorato il fatto che abbia campionato Acqua e sapone, che possa arrivare alla generazione zeta. Non sono geloso delle mie canzoni”.

I rapper sono i nuovi cantautori?
“Perché no? Ce ne sono alcuni, lo ammetto, che non capisco, più che non apprezzare. Ma altri, come lo stesso Guè, o Fabri Fibra e Marracash, sono all’altezza dei grandissimi del passato. Si tratta di generi ed epoche diverse, ma io ho frequentato i concerti di Dalla degli anni settanta come i loro, e posso dire che le scene che tra il pubblico e l’atmosfera sono le stesse. E poi non è che tutti i cantautori di allora fossero bravissimi, peraltro”.

Senta, ultima domanda d’obbligo: di salute come sta?
“Benissimo. Dopo quello che ho passato, la parte più difficile è sempre il recupero psicologico. Ma tra la cura degli operatori del servizio sanitario e l’amore della gente, non mi sono sentito solo. Ho capito che il mondo ci tiene a me. Ed è bellissimo”.

Fonte: Today.it